Kluas Karl Mehrkens

Dal29 Febbraio al 06 Aprile 2024

Fondazione Sardi per l'Arte, Torino

 

FONDAZIONE SARDI PER L'ARTE

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LA RIVINCITA DELLA PITTURA

testo di Giuseppe Simone Modeo

Possiamo continuare a chiamare pittori i pittori di oggi? Molti lo fanno in modo spontaneo non riflettendo sulla circostanza oggettiva che pittore e’ colui che usa la pittura. Altri hanno smesso e preferiscono l’espressione “artista visivo”, espressione quest’ultima che distingue nel mondo dell’arte, in modo negativo cioè escludendoli, i soli musicisti e quindi non definisce alcunché. La questione si pone oggi perché la pittura, segnatamente in Europa, dopo la crisi che ha subito con l’Arte Concettuale, la Bodyart, la Land Art, l’Arte Povera etc… sembra aver concluso il proprio millenario percorso. In Germania più che altrove, la stesura del colore sulla tela costituisce ancora la matrice e il momento generatore dell’opera d’arte. Questa mostra presenta, infatti, un pittore tedesco che anche dopo decenni di permanenza in Italia resta ancora indefettibilmente tedesco, legato ad una pittura non governata dal caos, dall’impulso istantaneo né schiava delle forme mimetiche della realtà. Si tratta di una pittura governata dalla musica e dalla filosofia. Le stesse grandi matrici di tutta la nostra cultura occidentale. Nell’accingersi a delineare i caratteri della pittura di Klaus Karl Mehrkens, può risultare utile far riferimento ad una nota biografica. Dopo essersi diplomato nella città di Berlino, Klaus ha prestato, per qualche anno, servizio come infermiere in una clinica per anziani e per malati terminali. In questa circostanza, molto probabilmente, egli ha sviluppato il senso dell’effimero e del tragico. Gli anziani non possono che rappresentare per l’artista, o comunque per il pensatore, il tempo-vita trascorso ed il tempo-morte che infinitamente ci attende. Trasdotta tale riflessione sul bianco opaco di una tela, di qualsiasi dimensione, Klaus intende la pittura come arte di antichissima e nobile origine, ovvero come il portato vivo ma forse stanco, della lunghissima storia che ha accompagnato l’ homo sapiens dalla barbarie alla civiltà. In un certo senso l’artista è sempre un funambolo che vive tra equilibrio e caos, tra l’appoggio salvifico alla fune e la costante precarietà di una statica incerta. Nello scorso secolo, si è parlato molto della morte dell’arte. Giulio Carlo Argan ebbe a ritenere che dopo il 1950 l’arte (riferendosi alla pittura) fosse morta come scienza (rectius: sapienza) europea e di lì a poco il florilegio delle correnti neo espressioniste americane prima e la pop-art dopo, avrebbero sovrapposto il mondo dell’arte e della pittura con quello della fotografia, della serigrafia e di ogni sorta di tecniche a basso coefficiente di contatto diretto e fisico dell’artista con la superficie pittorica. La scienza, molti secoli dopo la religione, si accorgeva di perdere il proprio dogmatico carisma; la fisica, in particolare, vedeva crollare l’assolutezza delle proprie leggi aprendosi all’indeterminatezza della quantistica. Nel mentre l’elettrone usciva dalla propria orbita per essere contemporaneamente in due diversi loci e la realtà rinunciava ad ogni schema, superava forme ed occupava spazi non-spazi, sarebbe stato possibile un futuro della pittura inteso ancora come disegno, forma e colore delle/nelle forme? Sul tema molti artisti e – segnatamente – il nostro Klaus si interrogano e rispondono liberando il colore della pittura dai vincoli del disegno. Osserviamo su alcune tele di Klaus Karl Mehrkens colori che ricordano nebbie, passioni, incontri, abbandoni con qualche cenno a una disincantata ed aristocratica solitudine intellettuale. Ma, quel che più rileva è che l’opera pittorica di Klaus Karl Mehrkens ci conquista con lo stesso strumento seduttivo di tutta la pittura classica europea: il piacere. Il piacere è quell’emozione (ex-motione) che ci spinge ad uscire da noi stessi, dai nostri confini corporei ed a superare i nostri limiti psichici e cognitivi. In tal senso, il filosofo francesce Jean Luc Nancy, recentemente scomparso, afferma che nessuna mimesi diviene arte senza methexis, ovvero senza la compartecipazione del soggetto fruitore dell’opera attraverso quell’ e-mozione che lo porta ad uscire dal proprio “en-soi”, traendolo attraverso il piacere sino a congiungerlo, in modo partecipativo e creativo, all’opera. Tale sentimento è ben noto a quei collezionisti che non riescono a non acquistare (acquisire a sé) l’opera da cui sono “attratti”, ovvero a coloro che una volta acquisita l’opera, sono ad essa talmente legati da non potersene separare se non patendo il dolore di una perdita. Le opere di Klaus Karl Mehrkens attraggono con il colore e ci legano con i segni forti che la passione (sofferenza generatrice) cristallizza nel colore. Avvicinandosi ad esse, il piacere lentamente ma inesorabilmente ci assale; allontanandoci da esse lo stesso viene custodito nella memoria ed associato alla nostalgia. È possibile concludere rilevando come la pittura si assocerà ad altre forme espressive, anche le più inconsuete ed innovative ma non potrà estinguersi. L’artista e l’uomo avranno sempre bisogno il primo di sporcarsi le mani con il colore, il secondo di imprimere le frequenze e le superfici colorate sulla propria retina, di trasferirle al cervello perchè esso, a livello limbico, le trasformi in emozioni.

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